In VOID, l'artista italiano Alvise Camozzi continua la sua ricerca sulle "percezioni di realtà". In questo lavoro, mette in conflitto le testimonianze orali con i documenti mediatici, del più grave incidente radioattivo mai successo al mondo. Nella città di Goiania, nel 1987 [...] Ci racconta come ci siamo dimenticati della nostra stessa storia.
Maria Luisa Bersanelli . Folha de São Paulo .
Camozzi con la sua recitazione naturale e coinvolgente conquista la platea.
Dirceu Alves . Revista Veja .
Sembra si parli di cose lontane dal presente, l’incidente nucleare di Chernobyl del 1986, della contaminazione radioattiva di Goiânia del 1987. Poco a poco, le interferenze visive e poetiche rivelano l’ovvio: è di oggi che si parla. Camozzi tratta innanzitutto dell’amnesia, dell’annullamento della memoria collettiva, dello scompiglio tra fatti e miti - delle fake news.
Pedro Alexandre Sanches . Carta Capital .
Void ci impone una riflessione sulle strutture del potere.
Fernando Pivotto . Site Medium .
Durata dello spettacolo: 1h 20
Equipe in tournée: 4 persone.
Lo spettacolo si muove mettendo insieme fili diversi della stessa trama: Il ricordo delle mie amiche e amici. Il racconto dei personaggi del ricordo, spostati s’un piano onirico e epico. L’uovo parlante Humpty Dumpty di Carroll, quello che comanda le parole. Il motomondiale che si svolgeva a Goiânia, in quegli stessi giorni. Il film Stalker di Tarkovskij. L’ambizione atomica dei militari brasiliani appena usciti dalla ventennale dittatura. Mentre la storia dei fatti, sintesi di saggi e articoli, viene letta dal pubblico su dei fogli che vengono distribuiti durante dello spettacolo.
La lettura delle cronache giornalistiche e dei racconti dei testimoni riguardanti l’episodio provoca uno spostamento nella dinamica di fruizione dell’esperienza, un cortocircuito che mette in discussione ciò che evidentemente appare da ciò che è, rivelando (almeno nell’intenzione) come perturbante il presente, la storia del potere.
RIDER TECNICO
Il progetto VOID nasce da un ricordo d’infanzia che ho ascoltato da un’amica in Brasile. È un episodio accaduto alla fine degli anni ’80. Ho chiesto ad altre amiche e amici, anche loro bambini all’epoca dell’episodio, il racconto dello stesso ricordo, che risultava sempre uguale, con piccole variazioni. Dei bambini trovano in un campo abbandonato una sostanza luminosa, fluorescente, ci giocano, tornano a casa, cominciano a perdere pezzi del corpo, muoiono, contaminano i familiari, il quartiere, un’intera città. Sembra fantascienza, ma è la più grande catastrofe radiologica della storia, accaduta fuori dalle centrali nucleari. Siamo nel 1987, un anno dopo Chernobyl. La città è Goiânia, che si trova nel centro geografico dell’enorme Brasile. La sostanza trovata era una pietra di Cesio 137. Le vittime ufficiali sono sette, quelle contate dalle associazioni dei familiari un centinaio. Solo che non sono stati i bambini a trovare la capsula di Cesio, quella delle mie amiche e amici è una straordinaria invenzione collettiva che è rimasta nella memoria così alterata probabilmente per visione di una serie di servizi televisivi che seguivano la degenza e morte della prima vittima ufficiale, una bambina appunto, contaminata dallo zio. Tre rigattieri prendono da un ospedale abbandonato un vecchio macchinario per radiografie, che di notte s’illumina, tirano fuori la capsula di Cesio 137, che è fluorescente, la pensano preziosa, magica, la regalano a frammenti agli amici e parenti più cari, contaminando effettivamente l’intera città.